L’affare idrossiclorochina: uno smacco per la scienza

L’analisi del Professor Alessandro Capucci

(Tempo di lettura: 05’:15”)

 

L’autore: Alessandro Capucci, originario di Faenza, bolognese d’adozione, professore ordinario di malattie cardiovascolari, per molti anni direttore della Clinica di Cardiologia dell’Ospedale Le Torrette di Ancona, un’eccellenza a livello nazionale e internazionale nel trattamento delle patologie cardiovascolari, dal 2008 al novembre 2019 direttore della Scuola di Specialità in Malattie Cardiovascolari presso l’Università Politecnica delle Marche. E’ stato inoltre uno degli otto membri in Europa del Working Group on Arhythmias della società Europea di Cardiologia, nonché vice presidente dell’associazione italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione, autore dello studio “Aritmie cardiache, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, influenze del sistema neurovegetativo” e inoltre organizzatore di vari progetti internazionali e artefice di numerose pubblicazioni, con un “H-index” di 57 in Scopus.

Da diversi mesi ormai siamo costretti a difenderci dalla malattia da COVID-19 trasmessa dal virus SARS-CoV-2, derivatoci dalla Cina (Wuhan) e che ha portato terrore e morte, sconvolgendo l’organizzazione dei nostri ospedali e della nostra vita sociale. In questi mesi di pandemia mondiale si sono sviluppate maggiori conoscenze sul virus. Si conosce la sua resistenza all’aperto, a contatto con le superfici, la sua trasmissibilità aerea con le goccioline di saliva, la sua scarsa resistenza a temperature elevate e la probabile perdita di virulenza dopo diversi passaggi interpersonali, almeno secondo conoscenze derivate da studi sperimentali (1). Si è imparato già da mesi a riconoscere il meccanismo con cui il virus, una volta attaccato l’ospite, produce la malattia che può portare ai severi sintomi polmonari fino alla morte. Il virus entra attraverso i recettori ACE-2 e favorito soprattutto, ma non solamente, da condizioni predisponenti quali ipertensione arteriosa, diabete mellito, patologie cardiache porta a un progressivo e rapido sviluppo di una reazione infiammatoria con elevata produzione di citochine (una vera e propria tempesta) che innescano quella manifestazione clinica che è stata già valutata per altre patologie e che è la sindrome da antifosfolipidi (2 – 3). Tale sindrome conosciuta anche nei pazienti sofferenti di lupus eritematoso sistemico si complica con processi trombotici endovascolari, anche a livello polmonare, come verificatosi largamente nei pazienti malati di Coronavirus. La clorochina e ancora meglio, perché più sicuro, il suo derivato idrossiclorochina sono fra i farmaci utili in terapia cronica nei pazienti con lupus, proprio per la dimostrata azione di riduzione dei livelli di anticorpi antifosfolipidi. Tali sostanze sono infatti regolarmente approvate per tale impiego (4). Anche il temuto effetto di prolungamento del QT si è dimostrato di scarsa importanza clinica soprattutto per l’ idrossiclorochina anche per impiego prolungato (5).
Già all’ inizio della pandemia quindi, nei nostri paesi occidentali, si conosceva che il virus SARS-CoV-2 poteva procurare una reazione infiammatoria molto grave nel nostro organismo ad insorgenza dopo pochi giorni di incubazione ma che vi era una possibile arma per impedire non l’attacco della malattia ma la sua deleteria evoluzione infiammatoria: la pluri testata, anche per terapie prolungate, idrossiclorochina. La naturale conseguenza di queste semplici osservazioni sarebbe stata di impiegare tale sostanza al primo insorgere dei sintomi influenzali, quindi a malattia già in atto, quindi precocemente, proprio per bloccare la tempesta infiammatoria. Le linee guida nel nostro paese, emanate dal Comitato Tecnico-Scientifico, erano da subito altre e cioè un paziente se colpito da febbre doveva aspettare a casa per almeno cinque giorni, eventualmente avvisando solo il medico di medicina generale che non era nemmeno tenuto ad andare a visita domiciliare. Unica terapia consigliata: tachipirina. Solo dopo cinque giorni di febbre, questa persistendo o comparendo sintomi più importanti quali dispnea, anosmia, diarrea profusa, allora si poteva ricorrere a ricovero ospedaliero. A quel punto chiaramente la cascata infiammatoria si era già innescata, la sindrome da antifosfolipidi era all’apice e quasi nulle le possibilità di contrastare con efficacia l’avanzare della malattia.
Malgrado queste premesse gli studi invece con l’impiego di idrossiclorochina (anche associata all’antibiotico Azitromicina) si sono concentrati sui pazienti già ospedalizzati, in condizioni di malattia quindi avanzata: naturalmente i risultati non sono stati positivi sia in termini di efficacia che di sicurezza (6). Sono usciti in verità anche lavori di efficacia positivi ma su numeri non grandi e per pazienti trattati più precocemente (– 8). La scienza ufficiale ha contestato questi lavori proprio perché non controllati, non randomizzati e con piccoli numeri. Come conseguenza si è assistito ad un rallentamento se non in qualche caso blocco dell’impiego della idrossiclorochina motivandolo soprattutto in termini di sicurezza (QT lungo e aritmie) anche per un breve impiego (sette giorni e con dosi medie, 200 mg x due al giorno).
Recentemente sono usciti due lavori pubblicati su grandi riviste come Lancet e NEJM con dati raccolti ed elaborati da un sedicente gruppo Surgisphere Corporation con report di più di 90.000 pazienti raccolti in più continenti che descriveva una peggiore prognosi dei pazienti, ospedalizzati trattati con idrossiclorochina sia da sola che associata. A seguito dell’uscita di questi lavori l’Organizzazione Mondiale di Sanità, l’ EMA europea e la nostra AIFA hanno bloccato l’impiego della idrossiclorochina nei pazienti COVID. Alcune regioni italiane hanno deciso di non concederne il rimborso. Dopo pochi giorni dalla pubblicazione, a seguito di una estesa critica alla validità scientifica di quei lavori mossa da parte di medici che avevano sollevato problemi sia per i metodi applicati che per veridicità dei dati stessi, gli editori delle due importanti riviste hanno deciso di ritrattare i lavori.
A seguito di questo importante default della critica al farmaco idrossiclorochina si potrebbe allora riprenderne l’impiego? Non è così; infatti OMS ha fatto un piccolo passo indietro ma AIFA non ancora. Da parte sua il NEJM non contento della pessima figura fatta con il lavoro che ha dovuto ritrattare ne ha subito pubblicato un altro sempre sulla idrossiclorochina. Viene finalmente somministrato con la giusta indicazione? Naturalmente no. Il farmaco è stato dato in uno studio prospettico randomizzato come prevenzione in persone che forse erano venute a contatto con altre persone portatrici di virus. Quindi non per impedire la tempesta infiammatoria in una persona già ammalata ma come improbabile prevenzione di una infezione virale. Risultato negativo come efficacia (chi si poteva attendere un esito diverso?) ma almeno senza comparsa di effetti indesiderati maggiori, quindi utilizzabile in sicurezza per tempi di sette giorni di terapia (9).
In conclusione conosciamo il meccanismo mortale del COVID-19 che passa attraverso una sindrome da antifosfolipidi, abbiamo una sostanza di nota efficacia contro questa sindrome (idrossiclorochina), di sicuro impiego per tempi brevi (7 gg) a dosi di 200 mg due volte al giorno, ma non la consigliamo in linea guida, nei pazienti che si ammalano di influenza da assumere subito a domicilio (certamente sotto controllo medico) ma invece la utilizziamo o in ospedale a malattia già avanzata e quindi difficilmente trattabilie, oppure addirittura per prevenire la malattia da virus, come fosse un vaccino. Una delle regole fondamentali della medicina è di trattare il paziente specifico con la terapia appropriata. Questa vicenda ha dimostrato che la scienza medica, ancora oggi, non può procedere se orfana di ogni cultura clinica.

Prof. Alessandro Capucci
Ordinario di Malattie Cardiovascolari
profacapucci@gmail.com

Bibliografia
1) Herfts S et al Airborne trasmission of influenza A/H5N1 virus between ferrets Science 2012; june 22 336 (6088):1534-1541
2) Hoffmann M et al SARS-CoV-2 cell entry depends on ACE 2 and TMPRSS2 and is bocce by a clinically proven protease inhibitor. Cell 2020;181:271-280
3) Huang C et al Clinical features of patients infected with 2019 novel coronavirus in Wuhan, China. Lancet 2020;395;497-506
4) Nuri E et al Long term use of hydroxychloroquine reduces antiphospholipid antibodies levels in patients with primary antiphospholipid syndrome. Immunologic Research 2017;65:17-24
5) Cairolo E et al Cumulative dose of hydroxychloroquine is associated with a decrease of restin rate in patients with sistemi lupus erythamatosus: a pilot study Lupus 2015;24:1204-1209
6) Rosenberg et al Association of treatment with hydroxychloroquine or azithromicin with in-hospital mortality in patients with COVID-19 in New York state JAMA 2020, May 11, Epub ahead of print
7) Gautret P et al Hydroxychloroquine and Azithromicin as a treatment of COVID-19:results of open-label non-randomized clinical trial. Int J Antimicrob Agent 2020:105949.doi:10.1016/j.ijantimicag.2020.105949
8) Juurlink DN et al, Safety considerations with chloroquine, hydroxychloroquine and azithromicin in the management of SARS-CoV-2 infection CMAJ 2020; 200528
9) Boulware DL et al A randomized trial of hydroxychloroquine as postexposure prophylaxis for COVID-19 NEJM 2020, June 6th. NEJM.org

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